Cinema e musica: questo matrimonio (a volte) non s’ha da fare.

Quante volte, seduti in un cinema, vedendo una scena di un film, abbiamo pensato “questa musica non c’entra nulla”, oppure “quest’orchestra d’archi è ridondante”, o anche “questo ukulele rovina la scena”, oppure “oh cazzo, avrò chiuso il gas?”. A me sempre più spesso, ultimamente.

Come sempre più spesso ci capita di assistere a un certo modo di fare cinema, specialmente in Italia, che si serve di inserti musicali – canzoni ripescate dagli anni 70-80 eseguite da illustri meteore di quei tempi – per accompagnare una scena di raccordo, priva di dialoghi, che arriva quasi sempre a ¾ di film. Fateci caso. L’idea funziona la prima, la seconda, la terza volta… ma dalla quarta in poi, nella mente di un cinefilo esperto, di un critico esigente, o comunque di uno spettatore molto attento si delinea un “Che palle”.

La musica non va usata a caso. Gli strumenti musicali parlano, hanno una lingua propria, sono lì per comunicare sensazioni, evocare ricordi, sottolineare il contenuto di una scena oppure raccontarla con un contrappunto. L’elemento musicale è un attore del film, e come tale va curato e diretto con la stessa importanza, e non usato come riempitivo, né tantomeno con eccesso didascalico.

Tralasciando film in cui la musica è protagonista nel vero senso della parola (quindi biopic dedicati a cantanti, musical, o capolavori SONORI come “La leggenda del pianista sull’Oceano”), di esempi positivi in cui l’elemento musicale viene sapientemente usato ce ne sono tantissimi, sarebbe impossibile fare una selezione né tantomeno una classifica (attenzione, non parlo di intere “colonne sonore”, ma di “specifici commenti musicali”).

Insisto sugli ultimi minuti di Blow Out (attenzione allo SPOILERONE!!!), di Brian De Palma (film che amo citare per qualsiasi motivo, in qualsiasi contesto, anche in chiesa dove non vado mai, ma dove andrei apposta per parlare di “Blow out”), dove la splendida, melodrammatica musica di Pino Donaggio accompagna morbidamente quei copiosissimi fuochi d’artificio; il commento discreto, sognante, onirico di Vangelis su quelle bladerunneriane lacrime nella pioggia; lo spettacolare, struggente, commuovente tema dell’immenso Maestro Morricone per la scena finale di Nuovo Cinema Paradiso ; la selezione “classica” per raccontare le vicissitudini della “Discovery One” in 2001 Odissea nello spazio , giusto per citare filmini così, amatoriali…

Vorrei soffermarmi invece sugli esempi in cui la musica viene usata – secondo il mio modestissimo parere – male.

Un esempio fresco fresco: The place , il nuovo film di Paolo Genovese. Andando oltre il giudizio critico sul film (che in questa sede mi limito a definire un esperimento riuscito a metà) resto basito sul commento musicale, troppo presente e, soprattutto, dissonante. A meno che in scena non ci sia Malcolm McDowell che in “Arancia meccanica” distrugge una casa e sevizia i padroni canticchiando “Singing in the rain” (magistrale esempio di contrappunto filmico-musicale), o che un maniaco omicida commetta efferati delitti con un sottofondo di musichetta infantile (ricordate “Profondo rosso”, vero????), ottenere una dissonanza tra video e musica non è semplice, e nel caso del film di Genovese la musica non c’entra assolutamente nulla con l’aspetto fondamentalmente drammatico del film. Lungi da me spoilerare, il film è un susseguirsi di dialoghi molto drammatici tra Valerio Mastandrea e i suoi comprimari; si parla di omicidi, rapimenti, pedofilia, terrorismo, furto, di tutti i peccati mortali che un uomo potrebbe commettere. I protagonisti appaiono ovviamente scossi, provati, chi terrorizzato, chi smarrito… ma non si sa per quale assurdo motivo, sul più bello, si fa largo questo insopportabile tappetino musicale allegrotto, da fiction di Rai 1. E questo è un pessimo vizio del nostro cinema: fare film per ingraziarsi tutti, non scontentare nessuno, e tranquillizzare la classica casalinga di Voghera che si commuove davanti a “Topazio”. E da qui (ma non solo) il mio giudizio critico, quell’esperimento riuscito a metà, quel “vorrei ma non posso” (anzi, ma non voglio) che caratterizza un film molto interessante come spunto (sebbene non originale) e intrigante fino a un certo punto.

Ma non è solo il cinema italiano a commettere questi “peccati musicali”. L’accoppiata Nolan-Zimmer, per il film Dunkirk è davvero devastante. Già il film in sé ha più il tono del documentario che di un prodotto di fiction, e l’angoscia è sempre costante, considerando anche il fatto che parliamo di Storia, di fatti realmente accaduti, almeno di base. Ma Nolan si è improvvisamente trasformato in Emmerich, e ha esagerato, non tanto nella rappresentazione scenica (che offre momenti di altissimo cinema) quanto piuttosto della musica; probabilmente al regista manca girare un musical, e ha pensato di realizzare il suo sogno con un film di guerra: la musica è SEMPRE, costantemente TROPPO presente, un incessante accordo di note basse che accompagna TUTTI i momenti del film, persino laddove non se ne senta la necessità (alle volte persino sotto scene con dialoghi pacati e più rilassati). Un vero inferno, una incessante rottura di timpani (e non solo) che aggiunge inutilmente angoscia su angoscia.

Per il resto, quella Nolan-Zimmer è una coppia generalmente ben rodata e riuscita. Ma non è l’unica coppia “storica” del cinema: tra le tante come non citare la premiata ditta Spielberg-Williams e la già menzionata coppia Tornatore-Morricone. Ma la coppia più bella del mondo resta quella formata da Alfred Hitchock e Bernard Hermann: la scena della doccia in Psycho , quella dell’attentato ne L’uomo che sapeva troppo … Eppure il grande Hitch conosceva perfettamente il modo di creare tensione anche senza musica, e ne è testimonianza una scena de “Il sipario strappato” in cui Paul Newman, coadiuvato da una contadina tedesca, uccide un agente dei servizi di sicurezza della Germania Est. La scena  è carica di pathos, e l’unica “musica” è quella creata dall’audio di presa diretta e dai lamenti dei personaggi.

Insomma, a volte veramente il silenzio è d’oro.

p.s. Musica e pubblicità meriterebbero poi un discorso a parte. Per quanto mi riguarda adoro giocare con la ritmica dei suoni incastrata con quella delle percussioni, come nello spot 3D Audio di cui ho curato lo script, le riprese, la regia e l’audio.

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

© 2024 Giorgio Molfini | WordPress Theme : ScrollMe