Qualche giorno fa ho lanciato un sondaggio sui social. Ho chiesto ai miei contatti di stilare una classifica pressoché impossibile, e cioè scrivere una top 10 “soggettiva” dei film (per loro) più importanti della Storia del Cinema.
Ora… siamo più o meno tutti d’accordo nel ritenere che “Quarto potere”, “C’era una volta in America”, “Il Padrino”, “2001 Odissea nello spazio”, “Nuovo Cinema Paradiso” meritino di occupare i vertici della classifica, in quanto “oggettivamente” dei capolavori, film che per un motivo o per un altro hanno segnato un’era, che hanno stravolto regole e canoni, o che semplicemente rappresentano un equilibrio perfetto tra tecnica e racconto. E la prova della loro grandezza sta nel fatto che, sommando le preferenze delle singole classifiche personali da me richieste, questi film appaiono anche in cima alla classifica “soggettiva”.
COINCIDENZE??? :-))))
Forse è proprio questo il senso della parola “capolavoro”… quando un’opera riesce a mettere d’accordo pubblico e critica, chissà.
Sta di fatto che anche il sottoscritto ha deciso di imbarcarsi nella complicatissima operazione di realizzare una TOP 30 (perché gioco in casa…ero partito da 50, ma poi mi sembrava di bluffare troppo!), una personalissima classifica fatta di tutti quei titoli che hanno influito o che influiranno sulla mia formazione cinematografica, o che mi hanno fatto esclamare sin dalla tenera età di 8 anni “Eureka! Da grande voglio fare il regista!”. Magari molti di loro non sono universalmente riconosciuti come capolavori, ma mi hanno colpito a tal punto da restarmi impressi nella mente e nel cuore per anni e anni e anni. E anni. E ancora anni.
Cercherò di spiegare le motivazioni delle mie scelte. Scelte, sicuramente, impopolari perché mancano titoli di registi come Pasolini, Fellini, De Sica, Tarantino, Coppola, cineasti spesso indicati, a ben ragione, come punti di riferimento. A tale proposito cercherò di essere quanto più intellettualmente onesto, evitando di inserire un titolo solo perché è “cool” o perché “lo dice la critica”, ma seguendo esclusivamente le mie emozioni, o il ricordo delle emozioni provate alla visione del film.
Importante: Non è una classifica, ma una TOP 30, nel senso che tutti e 30 i film sono importanti allo stesso modo, quindi seguirò un ordine di anno di produzione.
1 – Quarto potere – Citizen Kane (Orson Welles, 1941)
Cominciamo col film che ha messo d’accordo il mondo intero, pubblico e critica. Che dire? IL FILM, per eccellenza: 79 anni e non sentirli affatto, una pellicola talmente avanti nei tempi che oggi risulta molto più moderna di parecchi film attuali.
Un immortale capolavoro creato, interpretato e diretto da un ragazzo di soli 26 anni, un genio che ha gettato le basi per l’intero cinema contemporaneo. Piani-sequenza, riprese grandangolari estreme, l’uso della profondità di campo, un bianco e nero espressionistico da galleria d’arte. Una storia attualissima, se pensiamo alla politica mondiale degli ultimi 20 anni. Un film da vedere e rivedere per continuare ad imparare.
2 – La finestra sul cortile (Alfred Hitchcock, 1954)
… E “La donna che visse due volte”, “L’uomo che sapeva troppo”, “Caccia al ladro”, “Delitto perfetto”, “Intrigo internazionale”, “Nodo alla gola”… ma come si fa a scegliere??? Del genio del brivido andrebbe elencata sempre l’intera cinematografia; in questo film – da molti considerato il suo capolavoro – troviamo una summa di tutti i suoi temi ed elementi: uno humor nerissimo e macabro affidato soprattutto alla figura dell’infermiera/governante Stella; la lotta tra i sessi descritta in modo sublime attraverso i brillanti dialoghi tra lo strepitoso James Stewart e la “dea” Grace Kelly; il voyeurismo mascherato dalla noia del protagonista costretto a guardare tutto il giorno fuori dalla finestra; movimenti di macchina quasi impossibili, considerando lo spazio in cui si svolge la storia. Pathos, divertimento, scrittura teatrale da manuale. Sì, il capolavoro di zio Alfred!
3 – La banda degli onesti (Camillo Mastrocinque, 1956)
Totò al suo meglio. Nessuna macchietta, nessuna situazione assurda né paradossale, solo la sua malinconica comicità al servizio di una dura realtà, quella dell’Italia del dopoguerra, dei piccoli commercianti e artigiani che faticavano ad arrivare a fine mese (e purtroppo da allora nulla è cambiato). L’alchimia con Peppino De Filippo raggiunge qui livelli e tempi comici spettacolari, e con l’aggiunta di Giacomo Furia a chiudere il terzetto le risate sono stra-assicurate. Sì, perché nonostante il tema (un portiere con famiglia in via di sfratto, un tipografo dal lavoro ridotto e un imbianchino squattrinato con velleità pittoriche decidono di stampare e spacciare banconote da 10mila lire, ma la Guardia di Finanza – e in particolare il figlio del portiere – gli stanno quasi addosso…) si ride tantissimo, ma senza mezzucci, bastano i dialoghi tra Totò e Peppino: la scena al bar è da antologia. Per quanto mi riguarda, insieme a “I soliti ignoti” e “Operazione San Gennaro” (in entrambi i film Totò ha una parte marginale) “La banda degli onesti” completa quella che potrebbe essere una magnifica trilogia sull’arte dell’arrangiarsi nel Sud del dopoguerra.
4 – Frankenstein junior (Mel Brooks, 1974)
Basta già lo sguardo stralunato del grandissimo Gene Wilder per fare di questo film un capolavoro di purissima comicità. La vetta più alta mai più raggiunta da Mel Brooks, una delle migliori interpretazioni di Gene Wilder, il “mostro” che abbatte la quarta parete cercando appoggio nel pubblico, Marty Feldman in uno dei personaggi più comici della Storia del Cinema. Dialoghi meravigliosi, improvvisazioni e un palese e tangibile divertimento che avvolge l’intero cast.
5 – Rocky (John G. Avildsen, 1976)
Il mito americano, il sogno americano, il concetto sacrosanto che tutti possono avere una possibilità. Quello di Rocky è stato il primo personaggio cinematografico che ho amato follemente. Chi di noi non si esaltava durante le scene degli allenamenti? Chi di noi non ha sferrato pugni al suo amico in sala durante i combattimenti? Il primo e l’ultimo Rocky (Rocky Balboa) sono film di una sincerità unica che rasentano l’ingenuità, ma a cui tutto è concesso. Fatta eccezione per gli episodi 4 e 5, la saga è riuscitissima, coinvolgente, ben scritta, con scene sul ring ottimamente girate. Ma il primo episodio è quello che resta più impresso: la semplicità dei personaggi, il contesto periferico povero e decadente, il riscatto sociale, lo sfruttamento da parte dello show business. Uno Stallone veramente in stato di grazia, specialmente come autore, migliorato come attore e regista nell’ultimo episodio del 2006 quando, ormai 60enne, risale sul ring per combattere contro sé stesso e contro i suoi fantasmi. Piccola nota: sì, ok è bravo e tutto il resto, ma le voci di Proietti prima e Amendola poi hanno reso Stallone un attorone da vagonate di Oscar.
6 – Io e Annie (Woody Allen, 1977)
Il corrispettivo comico di Hitchcock: e mo’ quale film scelgo? Da “Provaci ancora Sam” a “Manhattan”, da “Amore e guerra” a “Basta che funzioni”, una serie infinita di perle comiche impossibili da classificare. Ho scelto “Io e Annie” perché riassume tutta la filosofia ebraica (descritta sempre con grandissimo spirito autocritico), le paranoie e le insicurezze che caratterizzano l’intera opera del regista. Dialoghi eccezionali, soluzioni registiche originalissime (Alvy in versione cartone animato che parla con la strega di Biancaneve, Annie che si estranea dal proprio corpo mentre fa l’amore con Alvy, la discussione col professore in coda al cinema con l’abbattimento della quarta parete); questo film è New York: una città nevrotica, piena di insicurezze, ma ricca di spunti, così come il vecchio Woody.
7 – Il paradiso può attendere (Warren Beatty e Buck Henry, 1978)
Warren Beatty si cuce addosso un personaggio ingenuo, ma dai grandi sentimenti, in una commedia fantasy scoppiettante e, a tratti, davvero esilarante, e romantica al tempo stesso. Un miscuglio di generi perfettamente in sintonia tra loro. La commedia rosa si alterna con lo humor nero della coppia di assassini, il tutto sotto gli occhi di un angelo che ha commesso un grosso errore e del suo superiore, un “paradisiaco” James Mason. Un film dolcissimo e divertente con una splendida colonna sonora firmata dal jazzista Dave Grusin. Il classico film che mi tiene incollato allo schermo, ogni volta che lo passano in TV.
8 – Shining (Stanley Kubrick, 1980)
AAAAAAAAAAAAAARGGGHHHHHHHHH! Ecco. Credo che il commento che meglio descriva le mie sensazioni a riguardo sia questo. Credo di aver visto per intero questo spaventosissimo film una sola volta… non ne ho più avuto il coraggio. Ma quella volta è bastata perché mi rimanessero impressi quegli ambienti apparentemente normali ma inquietanti, lo sguardo da folle maniaco di un portentoso Jack Nicholson, un sonoro da brivido. E, ovviamente, la centralità e la simmetria fotografica di Kubrick. Era una serata piovosa di almeno 25 anni fa, i lampi tuonavano e i tuoni lampavano… io e il mio gruppo di 6-7 amici eravamo incollati allo schermo, quando nel silenzio del pathos più agghiacciante si alzò una voce, quella di mia madre che dal fondo del salotto sussurrò “buonanotte” facendo letteralmente saltare dalla poltrona il mio amico Leo che quasi andava a fare compagnia al lampadario. Questo film è la BASE del terrore. Ma anche l’altezza. E pure un po’ l’ipotenusa.
9 – L’aereo più pazzo del mondo (Zucker-Abrahams-Zucker, 1980)
Per me, l’apice della comicità americana è rappresentata dal nonsense dell’incredibile trio formato dai fratelli Jerry e David Zucker e da Jim Abrahams. Questo è il film che mi ha maggiormente ispirato, sia nelle piccole cose comiche che ho scritto e girato, sia nella vita di tutti i giorni! L’apoteosi di gag senza senso, di battute formidabili, di situazioni oltre l’assurdo. Ma la caratteristica che amo di più della loro filmografia è il modo in cui i personaggi reagiscono a battute e situazioni assurde: impassibili, come se non fosse successo nulla, restando seri. E’ una comicità basata sul contrappunto, e sull’attenzione del pubblico (capita che bisogna rivedere una scena più volte per accorgersi dei minimi particolari comici disseminati sul set), totalmente all’opposto dell’attuale filone “comico” di filmetti che si basano esclusivamente su parodie di rapper che non fanno ridere neanche sotto tortura da solletico, gergo giovanile da tredicenni, flautolenze, battute scontate e situazioni erotico-imbarazzanti telefonatissime, e un continuo didascalismo che sottolinea le cosiddette battute, a prova di deficiente. Ecco, il cinema di Zucker-Abrahams-Zucker non è nulla di tutto ciò. Sì, ogni tanto la volgarità ci scappa, ma l’aspetto principale è la assurdità del dialogo: L’indimenticabile Leslie Nielsen, nei panni di un medico, chiede all’assistente di volo: “Che cosa hanno preso i passeggeri per pranzo?” “Potevano scegliere tra la carne e il pesce” “Ah, sì, è vero. Io ho preso le lasagne”, il tutto nella serietà più assoluta. La magia di questo tipo di comicità si ripete nei successivi “Top Secret!” (Con un inedito Val Kilmer) e in “Una pallottola spuntata”, quest’ultimo che vede protagonista ancora Leslie Nielsen nei panni del tenente Drebin.
10 – Blow out (Brian De Palma, 1981)
Sì, sono un “depalmiano”, come ho già dimostrato in precedenti articoli di questo blog. Amo il cinema di De Palma, ne sono prova altri due suoi film in questa classifica. De Palma è un real-gista, un autore che non indora la pillola, uno che se vuole darti un cazzotto in pancia te lo dà, senza preavviso, anche prima dei titoli di coda. La sua è la poetica del perdente, dell’antieroe, dell’uomo comune invischiato in faccende più grosse di lui e che è destinato a perdere. Sì, c’è redenzione nei suoi film, ma a costo di altissimi prezzi. In quasi tutti i suoi film il protagonista perde qualcosa, dagli affetti all’onore. E la grandezza di questo cineasta, dichiaratamente figlio del cinema hitchcockiano, oltre ai tecnicismi, sta nel rendere grandi attori anche quelli più… insospettabili. In “Blow out” John Travolta è immenso. La sua recitazione naturale porta lo spettatore a empatizzare con lui; nel mio caso, poi, c’è un legame particolare: il suo personaggio è un tecnico del suono, registra effetti per il cinema… argomento che conosco molto bene. Ed è proprio registrando dei suoni in un bosco che Jack si trova a dover salvare una ragazza da un annegamento certo, dovuto ad un tuffo nel lago dell’auto in cui si trovava. Da qui prende il via un thriller “politico” dai vari risvolti, fino a quello che – secondo me – è il finale più “emotivamente atroce” della Storia del Cinema. Ovviamente non intendo spoilerare nulla, ma la fotografia di Vilmos Zsigmond e la musica di Pino Donaggio creano un prefinale da fiumi di lacrime fino al cazzotto finale prima dei titoli. Sì… è un film che mi ha decisamente segnato. E solo pensare a quel finale mi riempie gli occhi di lacrime…
11 – Il grande freddo (Lawrence Kasdan, 1983)
Definizione del film corale per eccellenza: “Il grande freddo”. Maestro dei successivi “Gli amici di Peter” (di Kenneth Branagh) o del nostrano “Compagni di scuola” (di Carlo Verdone) è il film che ha lanciato uno stuolo di attoroni fondamentali per il cinema americano: da Kevin Kline a William Hurt, da Glenn Close a Jeff Goldblum, da Tom Berenger a… Kevin Coster… invisibile; già, perché le scene con Costner furono tagliate, di lui restano solo polsi e caviglie. Comunque… una commedia “calda”, dove l’amicizia è un focolare in contrapposizione con il freddo del titolo che rappresenta il mondo esterno. Ottimi dialoghi, bellissima alchimia del cast, e una splendida colonna sonora di musica soul anni ’70 perfettamente in sintonia… persino nella scena iniziale del funerale.
12 – C’era una volta in America (Sergio Leone, 1984)
Insieme a “Quarto potere” è universalmente noto come IL film per antonomasia. Devo ammetterlo: l’ho visto una sola volta, nella sua versione integrale da quasi 5 ore. Insieme a “Shining” è uno di quei film che difficilmente rivedrò, ovviamente per motivi molto diversi. “C’era una volta in America” è un film con una scritture e un montaggio assolutamente geniali e spiazzanti, ma è anche un film duro, durissimo, con sequenze difficilmente digeribili. Non è tanto la violenza mostrata a colpire, quanto l’emotività che scaturisce da quelle scene che le fanno apparire ancora più raccapriccianti. Un film poetico e crudo al tempo stesso, molto violento ma anche molto ipnotico. Girato e raccontato con una maestria davvero unica.
13 – Così parlò Bellavista (Luciano De Crescenzo, 1984)
La MIA Napoli. Perfettamente rappresentata in questo film. Un riassunto di tutti i pregi e i difetti dei Napoletani, passando dai luoghi apparentemente solo comuni al confronto con i lati oscuri della città. Il tutto raccontato con una leggerezza, una simpatia, una scanzonatezza che sono proprie del mio popolo, ma condito dall’amore per la filosofia, tanto cara al nostro De Crescenzo. Gli uomini d’amore, l’amico della signora Rinascente, il cavalluccio rosso, ‘e serenghe ‘e mariuana, i bersaglieri a cavallo, il venditore di bare, ‘a bella chiaveca d’a cuntessa, l’ascensore guasto, l’abbonamento addo Natascia, un “Pensami” di Julio Iglesias, l’avvocato Cascione…e che altro devo aggiungere?
14 – Ritorno al futuro (Robert Zemeckis, 1985)
Per me, l’unica vera trilogia di fantascienza. Ma chiamarla “fantascienza” è riduttivo… “Ritorno al futuro” è un affettuoso omaggio agli anni ’50, è una divertente e frenetica commedia; l’intera trilogia è una storia basata su infiniti paradossi, scritta magnificamente, geniale, con incastri, rimandi, citazioni ed autocitazioni. Una continua corsa contro il tempo, con un simpaticissimo duo di attori a cui non si può non voler bene, Michael J. Fox e Christopher Lloyd, diretti da uno dei registi più creativi di sempre, lo “spielberghiano” Zemeckis.
15 – Gli intoccabili (Brian De Palma, 1987)
La lotta tra il bene e il male, senza mezze misure, senza sfumature, buoni contro cattivi. E considerando che il regista è Brian De Palma, uno a cui piace mischiare le carte, confondere le idee e rendere sempre più labile il confine tra eroi ed antieroi, questa cosa è sorprendente! Ma bisogna ammetterlo: quella de “Gli intoccabili” è una storia che colpisce al cuore senza troppe pretese, ti schieri con i buoni sin dall’inizio, specialmente se dall’altra parte c’è un Al Capone magistralmente interpretato da un gigantesco Robert De Niro. Ma in questa avventura tutti gli attori sono bravi, da un Kevin Costner agente del Tesoro molto credibile nella sua umanità (anche lui, verso il finale, cede alla debolezza dell’animo umano, e si pone al di sopra della legge), a uno Sean Connery premiato con l’Oscar per la sua interpretazione di Malone, poliziotto invecchiato e esiliatosi da un sistema corrotto; mentre Andy Garcia ha quella solita espressione di chi ti sta prendendo per il culo, però funziona. Un film avvincente, basato sui fatti reali che hanno inchiodato Capone condannandolo, ahimè, solo per frode fiscale. E poco importano gli errori di montaggio o le ingenuità nel racconto, o le iperboliche esagerazioni (come l’inverosimile scena della carrozzina alla stazione, citazione da “La corazzata Potemkin”) perché tutto appare molto sincero e genuino… e le musiche di Morricone, come sempre, sono epiche e toccanti.
16 – Harry ti presento Sally (Rob Reiner, 1989)
C’è da dire che vidi questo film molti anni prima di aver visto il precedente “Io e Annie”. Solo dopo ho potuto constatare che questo film, di quello di Allen, è palesemente debitore: New York, il montaggio finale coi ricordi, i dialoghi raffinati e le battute palesemente alleniane. Ma ciò non toglie che “Harry ti presento Sally” resta comunque un capostipite del suo tempo, archetipo di quella commedia brillante americana che è andata via via perdendosi in sciocchi film banali, alcuni di questi proprio con Meg Ryan. Billy Crystal, invece, ha mantenuto per un po’ standard comici più alti, con l’avventuroso “Scappo dalla città” e il delizioso “Forget Paris”. Il film in questione, scritto da Nora Ephron, è una commedia intelligente e divertentissima, con due attori simpatici e coordinati e altrettanti 2 comprimari di altissimo livello, Bruno Kirby e Carrie “Principessa Leila” Fisher. Sicuramente una delle commedie romantiche più belle della Storia del Cinema, con la dichiarazione d’amore più bella di sempre.
17 – Balla coi lupi (Kevin Costner, 1990)
Non ho mai amato i western. Anzi, li ho sempre accuratamente evitati, eccezione fatta per i due “Trinità” con la mitica coppia Spencer-Hill. Ma “Balla coi lupi” non è un western, è una magnifica e sontuosa epopea, raccontata con profondo rispetto, onestà intellettuale e molto coraggio, denunciando lo sterminio delle popolazioni indigene americane ad opera dei soldati nordisti. Peccato che, dopo questo film, Costner non abbia più sfoggiato la bravura registica dimostrata in questo film in cui tutto è perfetto: fotografia, musiche, montaggio e sceneggiatura, tutte premiate con l’Oscar. Potente, importante, necessario.
18 – Carlito’s way (Brian De Palma, 1993)
Brian De Palma, parte III. Qualcuno lo ha definito il “miglior gangster movie di tutti i tempi”… e, secondo me, non ha tutti i torti. E’ il racconto dell’ex spacciatore di eroina (il grande Al Pacino) che tenta di redimersi senza successo (ancora una volta, i perdenti depalmiani) per colpa dell’amico avvocato cocainomane interpretato da un mastodontico Sean Penn, che dà al suo personaggio un forte senso di disgusto. Un film avvincente e a tratti crepuscolare, denso di tristezza e di malinconia, che non offre possibilità di salvezza. Un “De Palma” al 100%, nei temi e nella tecnica.
19 – Il postino (Michael Radford, 1994)
Probabilmente è una scelta dettata solo dal cuore. Massimo Troisi fa parte della genetica di noi Napoletani, era nostro fratello, sarebbe stato impossibile per me non inserire almeno uno dei suoi film in classifica. Potevo optare per il primo, “Ricomincio da tre”, il suo divertentissimo esordio; ma trovo che “Il postino”, il suo ultimo film, sia quello più completo e maturo; sarà perché scelse di farsi dirigere da un altro regista; sarà per il testo, poetico e malinconico… ma forse la risposta è anche più semplice: è per quell’applauso spontaneo che il pubblico fece partire nel cinema alla sua prima inquadratura… quel volto scavato, stanco, provato, ma sempre espressivo. Troisi regala al suo personaggio una sincera malinconia senza rinunciare però ai tempi comici a cui ci ha da sempre abituati. Un film che è una poesia che parla di poesia: tenero, magico, commovente e, a tratti, divertente. E raccontare l’isola attraverso i suoni è l’ultimo bellissimo regalo che questo grande artista, unico e geniale, ha voluto farci.
20 – Qualcosa è cambiato (James L. Brooks, 1997)
Mi risulta difficile descrivere questo film, perché è un connubio perfetto tra la spontaneità dei personaggi (resa possibile dalla straordinaria bravura dei 3 attori principali: Jack Nicholson e Helen Hunt, entrambi premiati con l’Oscar, e Greg Kinnear, in nomination) e la perfezione della scrittura (nomination anche alla sceneggiatura). La forza è tutta nei dialoghi, brillanti e profondi, resi ancora più credibili dalla formidabile recitazione. Un film schietto, sincero, che mostra quanto possano essere facili e allo stesso tempo impossibili i rapporti umani. Jack Nicholson ci regala una nuova gamma di follie maniacali e nevrotiche, opposte alla follia omicida del suo Jack Torrance in “Shining”, un divertentissimo burbero incapace di gestire i contatti con le persone, persino con la donna che ama.
21 – Train de vie (Radu Mihăileanu, 1998)
Ironia ed autoironia, critica ed autocritica ai massimi livelli, come solo gli autori ebraici sanno fare. “Train de vie” è una geniale fiaba che racconta della gente di un paesino nell’Europa dell’Est che, appreso l’imminente arrivo dei nazisti, decide di organizzare un finto treno di deportati che li porterà in salvo in Palestina. A guidare il treno saranno stesso gli Ebrei, travestiti da nazisti, dopo settimane di studio per perdere il loro accento yiddish. Un film paradossalmente esilarante, in cui si ironizza su tutti, ovviamente sui nazisti, ma anche sugli Ebrei stessi, sui comunisti e sugli zingari. Nessuno viene risparmiato da questa satira pungente, ma viene ovviamente salvaguardato il rispetto nei confronti di una tragedia umana incalcolabile. “Train de vie”, però, preferisce evitare di raccontare “la tragedia”, e si concentra sulla realizzazione di un sogno: raggiungere la Terra Promessa. Una favola al pari del coevo “La vita è bella” (altra fiaba a mio parere straordinaria), ma più caustica, ironica e – passatemi il termine nonostante l’argomento – anche più divertente.
22 – La leggenda del pianista sull’oceano (Giuseppe Tornatore, 1998)
I criticoni, gli snob, gli “intellettuali” storceranno sicuramente il naso su questa scelta. Specialmente perché il film è tratto da “Novecento”, un monologo teatrale di quel Baricco tanto bistrattato dagli amanti della buona letteratura. In effetti è vero, Baricco è un “furbo”, è uno che sa perfettamente quali corde toccare per ammaliare il suo pubblico. Ma è anche un autore molto cinematografico, sebbene i lavori successivi a “Novecento” non abbiano avuto trasposizioni sul grande schermo molto riuscite.Qualcuno può trovare il film “artificioso”, ma non dimentichiamo che siamo di fronte ad una leggenda, una favola, e le favole, per definizione, sono immaginifici parti della fantasia. “Novecento”, a mio avviso, è un capolavoro. Comprai questo piccolo libretto, un monologo teatrale di 100 pagine, senza sapere a cosa andassi incontro. Ebbene, ho amato quel monologo dalla prima all’ultima parola, mi ha trasportato in un mondo musicale impossibile da ricreare… ma Giuseppe Tornatore ed Ennio Morricone riuscirono nell’impresa. Tornatore ha ricreato un microcosmo di personaggi teatrali e fiabeschi, in uno scenario claustrofobico per dei comuni mortali, ma non per il suo protagonista, “il più grande solleticatore d’avorio dei 7 mari”, come lo descrive Max, il suo migliore amico, magnificamente interpretato da Pruitt Taylor Vince, attore affetto da “nistagmo” (movimento ritmico involontario degli occhi) che ha fatto di questa patologia un punto di forza recitativa. Morricone è stato capace di inventare una musica “impossibile” da riprodurre, geniale, unica, semplicemente romantica o assurdamente eccentrica al tempo stesso. Se penso alla perfezione musicale penso alle musiche di questo film. Se penso al montaggio, penso alla frenesia della scena del duello al pianoforte. Se penso a un finale commovente, ma non melodrammatico, penso al monologo conclusivo di Tim Roth, straordinario interprete dal registro malinconico e dalla recitazione magnetica.Splendido, tecnicamente perfetto, debitore e figlio di quell’altro capolavoro dello stesso regista, “Nuovo Cinema Paradiso” da cui ha ereditato l’anima fanciullesca e innocente. Senza dubbio il film “a cui tengo di più” in assoluto.
23 – Il sesto senso (M. Night Shyamalan, 1999)
Il colpo di scena più sorprendente della storia. Un giallo metafisico geniale, che lascia di stucco senza il barbatrucco. Quasi due ore di pathos tra Kubrick e Hitchcock, e un finale strepitoso che vale tutto il film. A parte l’ottimo “Unbreakable” e il semi-riuscito “Signs”, Shyamalan non ha più raggiunto un livello così alto.
24 – Mullholland drive (David Lynch, 2001)
Che cosa ho visto??? Credo sia la domanda che tutti si sono posti dopo aver visto questa “opera d’arte”. Ho visto questo film per la prima e unica volta dieci anni dopo la sua uscita; ero molto restìo, anche perché in un film – così come in un libro, un quadro, una scultura – cerco sempre un minimo di logica, non amo quel tipo di arte post-moderna… la “merda d’autore”, tanto per intenderci. E con Lynch il rischio è questo. Regista straordinario, visionario, folle, lontano dalla realtà e dal realismo, Lynch mi aveva affascinato con il suo “Twin Peaks” (le due serie originali) fino al deludente e insensato finale (non ho ancora avuto il coraggio di vedere il “nuovo” Twin Peaks…); per sua stessa ammissione, Lynch disse di aver cambiato la storia, i personaggi, il senso e il finale in corso d’opera, solo lasciandosi guidare da visioni estemporanee, ignorando totalmente la logica… e a me questa cosa fa un po’ imbestialire. Il mio concetto di “opera d’arte” è molto rigido, per me la definizione di “capolavoro” deve essere guadagnata. Troppo spesso, invece, vediamo critici che si esaltano davanti a uno squarcio su una tela, o gente nei musei che fotografano sedie e occhiali convinti che siano arte, “giustificando” il malessere dell’autore che è vissuto nelle favelas con 18 fratelli in una stanza e che quindi ha voluto con quest’opera trasmettere il travisamento della realtà antropologica bla bla bla bla bla… Per non farla troppo lunga, vedere questo film mi preoccupava. Ebbene, mi sono trovato davanti ad un’esperienza cinematografica del tutto nuova, spiazzante, ipnotica, spaventosa, onirica, assurda… ma anche incredibilmente coerente. Sì, non è facile trovarvi un senso, ma il senso c’è. Magari è un senso soggettivo, chissà… magari neanche Lynch lo sa. Eppure posso dire con certezza che è un film che ha superato le mie aspettative, un’opera complessa ma diretta, terrificante ma affascinante, con una delle scene più spaventose della Storia del Cinema… senza che in realtà accada nulla. E lì, sta tutto il genio.
25 – The departed (Martin Scorsese, 2006)
“Taxi driver”, “Toro scatenato”, “Quei bravi ragazzi”, “Casinò”, “The Wolf of Wall Street”… Scorsese è uno di quelli che basta che si mette 2 secondi dietro alla macchina da presa e ti sforna il capolavoro. Tra tutti questi (ed altri) splendidi titoli, ho scelto “The departed” per la capacità di intrecciare narrazioni su più livelli senza mai perdere il filo. Una sceneggiatura che è un perfetto meccanismo ad orologeria, un montaggio che è la summa della sua cinematografia, un cast stellare in forma strepitosa, un film che sbeffeggia se stesso mantenendo una assurda ironia per quasi tutta la durata. Nulla è ciò che sembra, fino alla fine. Spettacolare!
26 – Gran Torino (Clint Eastwood, 2008)
Altro immenso cineasta che ha sfornato almeno una decina di capolavori. Dopo aver impersonato pistoleri, poliziotti dal grilletto facile, militari, il grande Clint disegna un protagonista, ex combattente in Corea, roso dai sensi di colpa per le violenze gratuite attuate durante la guerra. E la sua reazione alle sue stesse colpe, specialmente dopo aver perso la moglie, è la chiusura verso il mondo intero, la sua famiglia di arrivisti, i vicini di casa cinesi, la chiesa. Ma troverà il modo di riscattarsi, troverà una nuova inaspettata famiglia, e troverà la sua sofferta redenzione. Un film meraviglioso, che regala attimi di dolcezza e di una umanità sconvolgente in un contesto in cui sopravvivere sembra l’unica ragione di vita.
27 – L’arte della felicità (Alessandro Rak, 2013)
L’orgoglio. L’orgoglio di essere partenopeo. Un film di animazione made in Naples, che mostra una Napoli protagonista e comparsa al tempo stesso, con un Caronte solitario e pieno di rimorsi che traghetta sul proprio taxi un campionario di anime sole, sconsolate, perse, in cerca del proprio posto nel mondo. Poesia allo stato puro, immagini di una potenza visiva straordinaria, supportate da una splendida colonna sonora, sognante, riflessiva, e un tocco di new age. Un film che ti riconcilia con il mondo, e che ti fa uscire dal cinema con le lacrime di gioia… come è successo a me. Onoratissimo di aver collaborato con Rak per il successivo e pluripremiato “Gatta Cenerentola”.
28 – Birdman (Alejandro G. Iñárritu, 2014)
“Birdman” è il capolavoro del decennio 2010-2020. Un gioiello di scrittura teatrale perfettamente al servizio di un mirabolante gioco di tecnicismi impossibili. Sì, perché la genialità di questo film, a parte i prodigi di fotografia ed effetti speciali, sta nel fatto che è la storia ad essere al servizio di un meraviglioso esercizio di stile… e funziona pure benissimo! Un impossibile piano-sequenza dall’inizio alla fine segue gli attori muoversi sul palco e dietro le quinte di un teatro, tra narcisismi e delusioni, tra realtà e fantasia, tra voci vere e immaginate, tra l’immediatezza della scena teatrale e l’azione di un supereroe in mezzo a razzi, draghi e astronavi. Una commedia “drammatica” che prende in giro lo spettatore dalla prima inquadratura, ma che ride anche di se stessa, ironizzando sui suoi attori e lo show business. Bellissimo oltre ogni limite.
29 – Grand Budapest Hotel (Wes Anderson, 2014)
Wes Anderson è un magnifico costruttore di case di bambole, di mondi in miniatura perfettamente confezionati e impacchettati. Se cercate il realismo, state lontani da lui; le sue opere, e questa in particolare, sono molto sopra le righe senza risultare mai kitsch o eccessive: la simmetria più che kubrickiana, i colori tenui, il formato cinematografico che cambia improvvisamente da 1:1 a 16:9 passando per il 4:3. Un continuo gioco, un grandissimo divertimento, un’invenzione infinita di inquadrature e situazioni paradossali. Un nuovo e originalissimo modo di saper raccontare le favole.
30 – Arrival (Denis Villeneuve, 2016)
Il film che ha riscritto la fantascienza filosofica e, in questo caso, filologica. “Arrival” non è un “film di alieni”, ma una palese necessità di comunicare, un bisogno più che umano di entrare in contatto con gli altri, farsi comprendere, farsi accettare. Con un sapiente montaggio fatto di rimandi alla vita privata della protagonista, il nuovo prodigio del cinema del nuovo millennio, Villeneuve, dimostra di essere un abilissimo comunicatore d’immagini. Del resto, da uno che ha preso un caposaldo come “Blade runner” e lo ha probabilmente migliorato pur restandone fedele nel seguito “Blade runner 2049”, non ci si può aspettare che un gran film. Gli alieni sono qui e vogliono entrare pacificamente in contatto con noi… ma è l’uomo ad essere prevenuto e spaventato, e come sempre è l’uomo a scatenare la guerra. Riuscirà la nostra linguista, la brava e intesa Amy Adams, a trovare un linguaggio comune per ristabilire la pace? Stupendo!